O Padre,
che nella Pasqua domenicale
ci chiami a condividere il pane vivo disceso dal cielo,
aiutaci a spezzare nella carità di Cristo anche il pane terreno,
perché sia saziata ogni fame del corpo e dello spirito.
Questa preghiera, che il presidente dell’assemblea pronuncia a nome dei presenti, chiede la coerenza fra liturgia e vita. La partecipazione alla mensa eucaristica è per sua natura un rito comunitario dove s’impara ad amare, nutriti dal Signore che sazia ogni vivente. Infatti domandiamo al Padre il pane quotidiano, che non è “mio” ma “nostro”. Il racconto della moltiplicazione dei pani compiuta da Gesù sull’erba di Galilea (Gv 6,1-15) si snoda sulla filigrana di due scene: il miracolo del profeta Eliseo, che sfama cento persone con venti pani ricevuti in offerta (2 Re 4,42-44) e l’ultima Cena, prefigurata dai gesti del Maestro: “prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano”. Gesti che non solo manifestano la sua compassione per la folla ma rivelano la sua identità profonda: è Lui il pane vivo disceso dal cielo.
Il grande affresco della comunità cristiana tracciato da Paolo (Ef 4,1-6) è declinato nel segno dell’unità, che implica la nostra risposta di condivisione, oltre ogni egoismo e spreco. Il nostro pane va moltiplicato, riscattato dall’avidità del possesso, per divenire segno di fraternità. La fame nel mondo non dipende dal fatto che manca il pane, ma che non è condiviso. Attivando la reazione a catena che Cristo è venuto ad innescare sulla terra la Chiesa può soddisfare non solo la fame fisica, ma la fame di senso, di ascolto, di tenerezza, di cura.
Sr. M. Rosangela Bruzzone