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Neanch’io ti condanno

O Dio di misericordia,
che hai mandato il tuo Figlio unigenito
non per condannare ma per salvare il mondo,
perdona ogni nostra colpa,
perché rifiorisca nel cuore
il canto della gratitudine e della gioia.

 

Il Vangelo odierno ha una forza dirompente: se neppure Cristo condanna, dove andremo a finire? Egli agisce così non perché gli manchi l’autorità di farlo, ma perché perdona. Di conseguenza attira la condanna su di sé! Sulla croce, solidale con l’umanità adultera, ripeterà: “Neanch’io ti condanno”. Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva. Perciò questa Colletta esordisce riconoscendo nella misericordia la sua qualifica: Egli manda il Figlio a salvare il mondo.

Il racconto (Gv 8,1.11) è ritmato dai gesti e dalle parole di Gesù. Lui non cade nel tranello dei farisei, non entra in discussione con loro: si china e scrive col dito per terra. Questo silenzio è insopportabile, pesa più di molte parole. Il gesto misterioso impone un momento di riflessione. Poi il Maestro smaschera l’ipocrisia dei suoi interlocutori: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”. Gli accusatori diventano accusati. Nessuno può ritenersi innocente. La piccola folla si disperde, cominciando dai più anziani (più esperti di fragilità). Restano solo la donna e Gesù, la misera e la misericordia. Lei non chiede nulla, non esprime alcun pentimento. Ma il perdono le rende possibile un’esistenza inedita: “Va’ e non peccare più”. È la corsa verso la vita piena di cui parla Paolo, dimentico del passato e proteso verso la meta (Fil 3,14). È la novità preannunciata dal profeta nella memoria dell’antico esodo (Is 43,19). È la gioia del salmista: “Grandi cose ha fatto il Signore per noi” (salmo 125,2).

Sr. M. Rosangela Bruzzone

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