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Portare frutto

O Padre,
che hai ascoltato il grido del tuo Figlio,
obbediente fino alla morte di croce,
dona a noi, che nelle prove della vita
partecipiamo alla sua passione,
la fecondità del seme che muore,
per essere un giorno accolti
come messe buona nella tua casa.

 

Nel Vangelo odierno Gesù rivela la logica profonda che ha animato la sua esistenza. Filippo e Andrea gli riferiscono che alcuni greci vogliono vederlo e Lui risponde con una mini parabola: il chicco di grano sprofonda nel terreno e marcisce; ma il verdeggiare dello stelo in primavera ed il biondeggiare della spiga in estate svelano il segreto fecondo di quella morte. L’applicazione è drammatica: “chi ama la propria vita la perde, chi odia la propria vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna”. È Cristo il seme che, mentre si dissolve nell’umido della terra, fa spuntare il germoglio della resurrezione. Non muore come un eroe: è “turbato” (Gv 12,27), presenta al Padre il suo “grido” (Eb 5,7). Ma si fida e liberamente si consegna, da Figlio obbediente. Questa è la sua gloria. Sulla croce attirerà tutti a sé. Diverrà “causa di salvezza eterna per coloro che gli obbediscono”. Non è la sua sofferenza che ci salva, ma l’amore con cui l’ha affrontata. La vita non nasce dalla morte, ma dall’amore che in quella morte si esprime. La sorte del chicco di grano continua nell’Eucaristia, in cui Gesù diventa pane per la salvezza del mondo.

L’immagine del seme che muore per portare frutto non solo getta luce sulla vicenda del Maestro ma interpella anche noi, suoi discepoli. Chiamati a dimenticare noi stessi per servire. A partecipare alla sua passione trasformando le prove della vita in luoghi di comunione con Lui e con i fratelli. Sì, l’unico modo per salvare la vita è donarla!

Sr. M. Rosangela Bruzzone

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