O Dio, fedele alle tue promesse,
che ti sei rivelato al nostro padre Abramo,
donaci di vivere come pellegrini in questo mondo,
affinché, vigilanti nell’attesa,
possiamo accogliere il tuo Figlio
nell’ora della sua venuta.
Un aspetto fondamentale dell’esperienza cristiana è la vita come esodo: non siamo vagabondi senza meta trascinati dagli istinti, ma pellegrini alla ricerca di una patria dove finalmente ci sentiremo a casa. Un modo concreto di vivere vigilanti nell’attesa dell’incontro definitivo con il Signore è coltivare il nostro desiderio più vero, quello di un compimento che solo Dio può donarci. Stare senza aspettarsi niente vorrebbe dire non avere storia, ma solo istanti sconnessi. Il Vangelo (Lc 12,32-48) ci fa prendere coscienza dell’unicità irripetibile della nostra vita. Il Maestro vuole che il suo discepolo lo attenda “con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese”: evidente allusione all’esodo del popolo ebraico dalla schiavitù egiziana. Non in un ozio passivo, estraniante, privo di responsabilità, ma in una laboriosità saggia, fedele, generosa. Sull’esempio del nostro padre Abramo, che la seconda lettura (Eb 11,1-19) presenta come modello di ogni credente. Egli non vede Dio ma ne sente la voce. Ed affronta la vita fidandosi delle sue promesse anche di fronte a delusioni ed apparenze contrarie. Ogni generazione è chiamata ad aderire alle promesse di Dio affinché prendano vita nell’oggi che le attualizza e dà continuità alla speranza di sempre. Sì, la fede rende presente il futuro e visibile l’invisibile: ci fa scoprire che non siamo servi ma figli, invitati a sederci ad una mensa in cui il Signore stesso passerà a servirci (banchetto anticipato dall’Eucaristia domenicale!).
Sr. M. Rosangela Bruzzone
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Grazie!!