O Dio, che conosci le necessità del povero
e non abbandoni il debole nella solitudine,
libera dalla schiavitù dell’egoismo coloro che sono sordi alla voce di chi invoca aiuto,
e dona a tutti noi una fede salda nel Cristo risorto.
La parabola di oggi (Lc 16,19-31) è la traduzione narrativa del messaggio delle Beatitudini e del Magnificat. La lettura non va appiattita nell’unico significato di un’esortazione a compiere atti di carità verso i poveri. Luca mostra le conseguenze di una vita agiata, tranquilla, insensibile. Nella prima lettura (Am 6,1.4-7) il profeta traccia un ritratto spietato dei benestanti, sdraiati sui loro divani, spensierati e sicuri di sé. Il ricco della parabola non è cattivo, è chiuso nel suo mondo di lusso e di piaceri. Il suo dramma è la cecità, cioè la sua indifferenza verso il prossimo, e la sordità, che lo rende refrattario alla voce di Mosè e dei profeti. Ma la morte è uguale per tutti e nell’aldilà la situazione si rovescia: l’uomo ricco, senza nome e senza più ricchezze, è arso dalla sete nei tormenti; Lazzaro invece è accanto ad Abramo. Il ricco vede da lontano il mendicante che prima non riusciva a scorgere alla sua porta. Adesso è lui a chiedere soccorso. Vorrebbe un po’ d’acqua, chiede che Lazzaro appaia ai suoi cinque fratelli per farli ravvedere. Ma nessun miracolo può sostituire le Scritture. La resurrezione di Gesù non è un segno fine a se stesso: è il valore di una vita che il Padre approva richiamando il Figlio dai morti. Ascoltare la Parola è mettere in pratica il monito di Paolo a Timoteo: “Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato” (1 Tm 6,12).
Sr. M. Rosangela Bruzzone
Il povero alla porta
O Dio, che conosci le necessità del povero
e non abbandoni il debole nella solitudine,
libera dalla schiavitù dell’egoismo coloro che sono sordi alla voce di chi invoca aiuto,
e dona a tutti noi una fede salda nel Cristo risorto.
La parabola di oggi (Lc 16,19-31) è la traduzione narrativa del messaggio delle Beatitudini e del Magnificat. La lettura non va appiattita nell’unico significato di un’esortazione a compiere atti di carità verso i poveri. Luca mostra le conseguenze di una vita agiata, tranquilla, insensibile. Nella prima lettura (Am 6,1.4-7) il profeta traccia un ritratto spietato dei benestanti, sdraiati sui loro divani, spensierati e sicuri di sé. Il ricco della parabola non è cattivo, è chiuso nel suo mondo di lusso e di piaceri. Il suo dramma è la cecità, cioè la sua indifferenza verso il prossimo, e la sordità, che lo rende refrattario alla voce di Mosè e dei profeti. Ma la morte è uguale per tutti e nell’aldilà la situazione si rovescia: l’uomo ricco, senza nome e senza più ricchezze, è arso dalla sete nei tormenti; Lazzaro invece è accanto ad Abramo. Il ricco vede da lontano il mendicante che prima non riusciva a scorgere alla sua porta. Adesso è lui a chiedere soccorso. Vorrebbe un po’ d’acqua, chiede che Lazzaro appaia ai suoi cinque fratelli per farli ravvedere. Ma nessun miracolo può sostituire le Scritture. La resurrezione di Gesù non è un segno fine a se stesso: è il valore di una vita che il Padre approva richiamando il Figlio dai morti. Ascoltare la Parola è mettere in pratica il monito di Paolo a Timoteo: “Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato” (1 Tm 6,12).
Sr. M. Rosangela Bruzzone