O Dio, che nel tuo Figlio
liberi l’uomo dal male che lo opprime
e gli mostri la via della salvezza,
donaci la salute del corpo e il vigore dello spirito,
affinché, rinnovati dall’incontro con la tua parola,
possiamo renderti gloria con la nostra vita.
Nel Vangelo odierno (Lc 17,11-19) Gesù si manifesta Dio. Guarire un lebbroso infatti era come farlo risorgere. Andando verso Gerusalemme egli incontra dieci lebbrosi che si fermano a distanza e gridano: “Gesù Maestro, abbi pietà di noi!”. Il suo nome vuol dire “Dio salva”. È venuto per prendere su di sé la lebbra del peccato e liberarne l’uomo. Qui non fa gesti eclatanti né usa parole che possono impressionare. Semplicemente rimanda alla norma della Legge. “Andate a presentarvi ai sacerdoti”. Essi credono alla sua parola: durante il cammino sono purificati. Ma solo uno straniero, un samaritano, torna indietro a lodare Dio. Gli altri si fermano al dono, lui risale alla fonte. Questo racconto è più di una lezione di galateo: dice che la gratitudine è l’atteggiamento fondamentale del cristiano, che rende grazie per tutto e per sempre. La salvezza non è un diritto scontato, ma un dono da accogliere. Anche nella prima lettura (2 Re 5,14-17) il generale siro Naaman, sanato dalla lebbra immergendosi nelle acque del Giordano, torna indietro a ringraziare il profeta Eliseo: non si accontenta della guarigione fisica, vuol adorare il Dio d’Israele.
Nella seconda lettura (2 Tm 2,8-13) il pressante invito a “ricordare” che Paolo rivolge a Timoteo mostra che credere è un percorso da prolungare nel tempo concreto di una vita. La nostra presenza alla Messa domenicale non è un prezzo da pagare per ottenere la salvezza, ma un rendimento di grazie, perché siamo tutti lebbrosi: guariti, cioè perdonati.
Sr. M. Rosangela Bruzzone
Fede riconoscente
O Dio, che nel tuo Figlio
liberi l’uomo dal male che lo opprime
e gli mostri la via della salvezza,
donaci la salute del corpo e il vigore dello spirito,
affinché, rinnovati dall’incontro con la tua parola,
possiamo renderti gloria con la nostra vita.
Nel Vangelo odierno (Lc 17,11-19) Gesù si manifesta Dio. Guarire un lebbroso infatti era come farlo risorgere. Andando verso Gerusalemme egli incontra dieci lebbrosi che si fermano a distanza e gridano: “Gesù Maestro, abbi pietà di noi!”. Il suo nome vuol dire “Dio salva”. È venuto per prendere su di sé la lebbra del peccato e liberarne l’uomo. Qui non fa gesti eclatanti né usa parole che possono impressionare. Semplicemente rimanda alla norma della Legge. “Andate a presentarvi ai sacerdoti”. Essi credono alla sua parola: durante il cammino sono purificati. Ma solo uno straniero, un samaritano, torna indietro a lodare Dio. Gli altri si fermano al dono, lui risale alla fonte. Questo racconto è più di una lezione di galateo: dice che la gratitudine è l’atteggiamento fondamentale del cristiano, che rende grazie per tutto e per sempre. La salvezza non è un diritto scontato, ma un dono da accogliere. Anche nella prima lettura (2 Re 5,14-17) il generale siro Naaman, sanato dalla lebbra immergendosi nelle acque del Giordano, torna indietro a ringraziare il profeta Eliseo: non si accontenta della guarigione fisica, vuol adorare il Dio d’Israele.
Nella seconda lettura (2 Tm 2,8-13) il pressante invito a “ricordare” che Paolo rivolge a Timoteo mostra che credere è un percorso da prolungare nel tempo concreto di una vita. La nostra presenza alla Messa domenicale non è un prezzo da pagare per ottenere la salvezza, ma un rendimento di grazie, perché siamo tutti lebbrosi: guariti, cioè perdonati.
Sr. M. Rosangela Bruzzone