O Dio, che ci hai riuniti per celebrare la santa Cena
nella quale il tuo unico Figlio,
prima di consegnarsi alla morte,
affidò alla Chiesa il nuovo ed eterno sacrificio,
convito nuziale del suo amore,
fa’ che dalla partecipazione a così grande mistero
attingiamo pienezza di carità e di vita.
Inizia il Triduo pasquale, culmine e fonte dell’anno liturgico. Celebrando la Cena del Signore facciamo memoria della sua vita non trattenuta ma consegnata, non risparmiata ma offerta per la salvezza di tutti: “dopo aver amato i suoi, li amò sino al compimento”. Gesù veste il grembiule del servo e s’inginocchia a lavare i piedi degli apostoli. Non è una semplice dimostrazione di umiltà. Dentro quel gesto vi è un mistero grande: lo spogliarsi del Verbo eterno della sua gloria, per assumere la debolezza della nostra umanità e risollevarla alle altezze della vita divina. Il Signore non dà solo un buon esempio, ma rivela la logica della carità. Vivere è aprirsi, chinarsi, donarsi. Vale per la lavanda dei piedi ciò che Paolo riferisce all’altro gesto eucaristico di spezzare il pane e di versare il vino: “Ogni volta che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga”. Ogni volta che sentiamo nel nostro cuore la morsa dell’egoismo l’unica via è scegliere con fede un amore più grande. Celebriamo dunque la Pasqua per imparare l’arte di vivere, che è sempre l’arte di amare, così antica e così nuova, perché richiede di ricominciare ogni momento.
Sr. M. Rosangela Bruzzone